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4/12/2019 0 Commenti

POESIEdiTRANSITO: DOVE ERAVAMO Già STATI: il fotone in 10^–43secondi.

Foto
13 Febbraio 2019 

Non possiamo sfuggire a un iconismo continuo e permanente del nostro orizzonte percettivo. Qualunque esperienza di contatto con la realtà attraverso linguaggi percettivi la traduciamo appunto in segni sintetici che abbiamo utilizzato come memoria e scambio di formazione per tutto il viaggio fatto dietro di noi, da un punto zero, se c'è mai stato, antropologico e fisico. Ḕ opportuno dire con franchezza che questi segni, divenuti sistemi icnofonici della percezione, utilizzandoli per vendere, li riduciamo a sostituire la realtà da cui sono nati, impoverendone i processi di analisi e conoscenza. Ma se è l'appartenenza ciò che ci manca, se è solo l'appartenenza che ci completa perché desistiamo dal completamento dell'unica strada che ci renderebbe più felici? Vivere il reale piuttosto che la sovrastruttura dei suoi significati, come ci ricordano i versi “ vivere vorrei, addormentato, entro il dolce rumore della vita”. Preferiamo venire assaliti dalla nostalgia di un mondo che noi stessi abbiamo distrutto ponendo la mostruosità dell'io in contrasto con la natura. E non siamo più capaci ora di ristabilire quell'ascolto, quella condivisione, quel viaggio nella bellezza e misura; ci manca il canto, la voce stessa è afona per intonarne l'offerta. E per questi mali e assenze che si cerca il cielo e le stelle, nel viaggio che prima di me hanno compiuto in tanti, e ogni giorno del nostro risveglio è una speranza a cui vogliamo, dobbiamo credere; ecco quanto sentivo del sussurro, del richiamo intorno a me nei luoghi di transito, nei tunnel del passaggio, sul volto, negli sguardi, nella fretta dell'isolamento. E dietro ciascuno si portava il rancore di non aver detto tutto, di aver taciuto il desiderio più grande, di poter dire: ci sono: vivo!
La città cambiava intorno a me, l'Italia cambiava nei volti dell'immigrazione e della povertà allargata lasciandosi inghiottire e illudere dalla corruzione della classe dominante al servizio delle finanziarie spietate del capitalismo mondiale.
L'arte è diventata iconica quando ha voluto dare all'uomo le sembianze di un dio, trascendendo la natura e in un certo senso assoggettandola con una volontà di potenza che quel dio stesso gli avrebbe concesso a condizione di una sottomissione del corpo oltre che dello spirito. Ma quel processo nato nella condivisione del gruppo di appartenenza e del rito ha subito una fase di inflazione molto simile a quella di Guth che ha rotto l'equilibrio iniziale, decretandone una fase di surrogazione, dove la “copia” la preferiamo all'originale, quando addirittura non ne ignoriamo finanche l'esistenza e l'unicità fragile del suo stato di nascita: la incomparabile condizione di essere un frammento spaziotempo e perciò della nostra storia.
Ero nel delirio, si, come quando il sonno non ti prende perché l'anima è troppo piena di cose da dare e non trova la via, non c'è più lingua comune, si è nel mosca-cieca del destino. Tutte le notti ci sembrano promettere e finire, dopo l'insonnia, con un cambiare vita, un battesimo d'acqua e grazia: una semplice rinascita. Una rinascita che ci mostra ciò che prima non avevamo mai visto, accecati dal troppo desiderio, da un mal riposto interrogare la natura della vita, la sua impermeabilità al tempo e alla volontà di potenza, riconoscendosi solo nell'acqua che scorre. Come per quelle originarie ombre noi desideriamo e vogliamo solo le cose che ci raccontano del vero in un calco; non abbiamo più lo stomaco per fronteggiare il reale e ne aneliamo il surrogato in “un mondo nuovo”. Eppure resistere vuol dire non dimenticarsi e accedere a quelle ombre infiammando il tuo mondo ogni giorno, ogni minuto di quel poco di luce che un fotone può concederti e illuminarne, con un segno, un verso, il destino comune, il ritmo del soffio del cuore.
La nostra fragilità è nel aver dimenticato i limiti, i limiti di essere, non il tutto, ma solo una parte di quella natura che ci sovrasta, un suo frattale? E va bene, ma come la ripetizione differente di un numero periodico variabile, quando la fluttuazione quantica ancora non aveva dato vita a gerarchie, prima di ogni immaginario che ci distingue?
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