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4/12/2019 0 Commenti

POESIEdiTRANSITO: PAROLE COME TELOMERI

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29 Marzo 2019

Ciao fb e amici che mi leggete; mi sono rimaste 4 puntate di quest'autobiografia sull'opera “PoesiediTransito 1994-1999”. Vado a continuare. Scrivere, scrivere, come dipanare le sementi o seguire la corrente di un rivo, è l'attorcigliata catena genetica di un tempo litico così mi viene in mente il pennino di Luciano Caruso che verga ogni oggetto trasformandolo in reperto; è da quel testimone arcaico, che non potevo più usare, il filo del mio travaso su nastro nero e laser una scrittura più vicina al liquido dei bit, un dialogo con i telomeri che resistono quanto le parole a voler dire qualcosa, a voler essere qualcosa, a voler conservare qualcosa. Il paesaggio urbano mi offriva nuovi strumenti e contatti che la mano avrebbe potuto imbrigliare nel suo distendersi nel suo aprirsi e fluttuare, richiudersi e separare; una macchina con una camera ottica interna come il corpo nero di Planck, le vergini di Balthus o l' étant donnés di Duchamp. E sopra di me la volta celeste con i suoi occhi seducenti, da una rete a un'altra rete come la pioggia d'oro di Danae che mi ritrovo nelle narrazioni dei Talent's, oramai planetari, americano, asiatico, australiano, britannico e così via il canto sul palcoscenico del mondo premiato con “golden buzzer” e lacrime. Mi ritorna in mente “...bella come sei”, l'oro dell'estate napoletana, il celeste e l'azzurro che ho usato per le mie prime opere; dove avevo comprato un lungo rotolo di tela a metro mi proposero un'offerta di grossi barattoli di azzurro, e così li presi, “dipingerò l'azzurro” mi dissi. Anche la pittura è come se l'avessi scritta; in quegli anni, avevo riportato il graffito a immagine del discorso, e con la scrittura il verso a essere immagine di se stesso; un calligramme a puntate ma senza mai fine. Non ho cercato la tecnica del rinascimento che credo serva al restauro ma di percepire per osmosi e un poco anche alambicco la tecnica del mio tempo, quei modi e quei temi che certo non potevano essere presenti nell'uomo medievale né tanto meno rinascimentale. A ogni tempo il suo vocabolario e la sua sfida.
Di quale lingua stiamo parlando? Quella dei siciliani di Federico, quella di Dante o Petrarca, Leopardi o Manzoni, Ungaretti, Montale, D'annunzio, Bertolucci, Pasolini, Zanzotto, Sanguineti? La lingua scritta è sempre formale proprio perché deve tradursi in una forma; il suo algoritmo è anche visivo; una proprietà della scrittura che è molto più esplicita e consapevole nelle culture cine-giapponese. Lo scrittore non agisce mai solo con la proprietà del tempo ma anche con una coordinata dello spazio, alcuni disponendo gli appunti e i fogli di bozze in modo molto personale in posizione mappale o grafico-visivo, e anche i doppi tavoli di scrittura possono suggerirne la pratica come lo era per Italo Calvino. In qualche modo il supporto e i suoi limiti ne costituiscono anche il respiro. La musicalità finisce comunque per essere intrinseca al testo alla sua freccia di lettura. Ora noi non ci facciamo più caso perché con i display dei computer prima e con quelli dello smartphone poi siamo abituati a uno scorrimento linguistico senza precedenti; i futuristi sarebbero impazziti di entusiasmo. In fondo con le loro esperienze un po' tali risultati odierni li hanno anticipati. La scrittura è molto vicina all'astrazione matematica ai sistemi formali della logica, tanto che è successiva alla pittografia. La scrittura è la prima equazione della mente è un processo di riduzione dei fenomeni del reale a una sua sintesi immaginaria. Ecco perché la scrittura è la leva tecnologica più avanzata, e sono, i minoici prima e i greci poi, ad aver posto i fondamenti della civiltà della tecnica e quindi del pensiero dialettico. Ma la scrittura è anche il primo atto di separazione io-mondo, è l'autoreferenzialità della psiche che si nomina, il suo lapsus verbale. La lingua scritta è destinata a semplificarsi ulteriormente per tendere sempre più verso la matematica, il linguaggio formale delle costanti e delle emozioni. Certi contenuti nuovi si possono scrivere solo modificando la lingua e alternandone i suoi paradigmi, smontandola e ricostruendola come i mattoncini di un lego.
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