4/12/2019 0 Comments POESIEdiTRANSITO: un manifesto poetico per un solo autore e miliardi di consumatori.2 Marzo 2019
Delle PoesieDiTransito ci sono tre scatole-multipli che raccolgono i self-card (cartoncini) del Canzoniere dal 1994 al 1999: la scatola zincata, la scatola mandorlata, la scatolafaro. Mentre sbuccio le mele per una crostata penso a tutta la poesia che è stata scritta, a quella che resterà e a quella che non resterà perché mai nato il suo dire. La parola che si perde nella scrittura, ecco, per certi versi lo spartiacque della nostra civiltà che trasforma il soffio della parola, il suo suono in segno e tecnologia, in codice di scrittura e di significante; Socrate ne avvertiva il rischio, l'indebolimento e anche il travisamento, la corruzione possibile, quando viene separata dal suo organismo vivente e perciò critico: aprendo, con il testo della scrittura, così, al tramonto della verità assoluta, la parola del dire orale, l'unica che ci darà misura e sapienza perché sperimentata nel tempo, qui ed ora. E non è, forse, questo il tempo della verità e del bene, del giusto, e oggi, nella nostra visione etica, è anche quello dell'amore? Quali scatole possono sostituire queste tre da quelle di una lontana infanzia: la scatola delle figurine, la scatola delle biglie di vetro, la scatola dei chiodi e del sughero con il filo di nailon per la pesca; contenitori di biscotti bucaneve in latta o il cartone della colomba, per custodire ricchezze, per giocare con il tempo alla sua misura, e cioè dare un valore simbolico alle cose, agli oggetti che non ce l'hanno, o ce l'hanno solo per noi come “Rosabelle”; e ci accompagnano per quel salto che dovremo fare a conclusione della giovinezza, rinunciando all'utopia ch'era nel nostro sangue, nel nostro respiro quotidiano, a dover essere come gli “adulti” senza speranze, senza sogni, mentre queste raccolte dell'immaginazione ci fanno crescere e guai se non ci fossero. Un manifesto si scrive perché altri aderiscano, compiendo le stesse azioni o simili e incitando parole comuni, lo stesso progetto di vita, scardinando vecchi paradigma, aspirando a orizzonti da condividere. Ma se questo si scrive al tramonto di un'esperienza, coloro che si risveglieranno in un'alba nuova porteranno con sé quelle parole “nuove e d'azione” inconsapevolmente? E questo perché il paesaggio tecnologico del quotidiano ne ha assorbito e assimilato i contenuti e finanche le forme e gli strumenti. Ho cercato scatole che potessero conservare alfabeti di magiche esplorazioni, narrazioni immediate e anche stratificate. Mi accorgo che il mio vagabondare ha una radice antica; per me è seguire una mappa che non vedo né conosco ma che esploro, questa si stende poco alla volta ogni volta che stendo la gamba e allungo il passo, e prendo la direzione, la terra mi cresce sotto come una radice che spunta, germoglia, si radica, si espone, all'aria, alla luce; è una mappa emozionale, una geografia che ho nel sangue, mi governa come l'energia oscura del cosmo in un accelerazione che cresce. E così ho imparato che per ogni viaggio si va da soli, perché ogni viaggio contiene il viaggio della propria vita e del proprio destino: noi siamo “gettati” alla consapevolezza di non poter più tornare indietro. E da adulti, seppur abbiamo rinunciato all'utopia ai sogni dell'infanzia, noi tutti ancora le cerchiamo queste custodie improvvisate e improbabili. Avvertiamo che raccoglierle dal loro destino obbligato, sottrarle ai rifiuti è il nostro modo per sentire un'appartenenza, per tessere una comune sinapsi, una mitosi, un campo scalare d'energia. Mi frulla per la testa il binomio eccitazione-appagamento, il sistema chiuso delle nostre esperienze, come ne parlavo con Veronica che segue con me fb in questo periodo. E su questa condotta che fondiamo la nostra esplorazione in qualunque mondo e a qualunque età se teniamo in vita il cervello e alimentiamo tutto il resto delle nostre percezioni e del nostro corpo. Un riflesso pavloviano che conserva lo stimolo all'esplorazione senza alcuna tregua, “fino e all'ultimo respiro” magnificamente citato da uno dei maestri del nouvelle vague. Si, è avere una wunderkammer portatile, compagna del viaggio, la nostra aspirazione; tutte quelle citate, tante scatole in una, dove poter sollevare il coperchio e scendere nel fondo, come in quella bellissima canzone napoletana “Cum me”. L'abbiamo fabbricata la scatola dello “straordinario”, raggiungendo forse quel fondo, in una strana apnea dalla realtà, pur legandosi in un sottoinsieme di questa stessa, continuamente, con interruzioni solo di contatti ma non di rete che è un'energia a sistema aperto , una trasformazione di fase del vuoto; in essa ritroviamo i sogni che non abbiamo fatto e quelli che vorremo fare nel codice 0 e 1. E da una valle all'altra, da un continente all'altro, dalla Rift alla Silicon, dalla mandibola kubrickiana alla Hubble satellitare, quegli impulsi di campo ci veicolano nello schermo più magnetico del nostro presente, nella scatola di tutti i giochi possibili e della memoria degli stessi, il talismano magico dei desideri, l'oracolo , il tabernacolo del nostro quotidiano: lo smart-phone, senza il quale ci sentiamo privati e deprivati della mappa, del cordone ombelicale della nostra comunità, sempre pronto a un contatto a una narrazione, a un viaggio verso l'ignoto, alla ricerca di mondi sconosciuti, come la navicella più fantascientifica delle nostre affezioni da consumatori.
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